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L’Iniziazione Cristiana paradigma della vita in Cristo

2023-10-25 09:00

Sinodo diocesano

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L’Iniziazione Cristiana paradigma della vita in Cristo

Relazione Assemblea Sinodale 21 ottobre 2023

di don Francesco Lo Bianco

Premessa

Dopo avere dedicato ampio spazio alla trattazione della prima tematica del nostro Sinodo e cioè la “Sinodalità, unità pastorale sinodale e zone pastorali”, ora iniziamo la nostra riflessione sulla Iniziazione cristiana (IC); tematica essenziale per la vita della Chiesa di ciascuno dei credenti.

Muoviamo i primi passi a partire da due testi di Papa Francesco, entrambi tratti dalla Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium:

Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o “kerygma”, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale. Il kerygma è trinitario. È il fuoco dello Spirito che si dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione ci rivela e ci comunica l’infinita misericordia del Padre. Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”.1

 

In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù ed il suo sguardo personale.”2

Questi due passaggi della EG, ci ricordano cosa rende fresca la pastorale della Chiesa in ogni tempo e in ogni circostanza e cioè l’annuncio dell’amore sconfinato di Dio Padre per ogni uomo, oltre a ribadire quello stile di vicinanza e di compassione, capace di rimettere ogni persona al centro dell’annuncio e della pastorale tutta.

Siamo grati del lavoro svolto fino a questo momento e dei tanti contributi giunti da tutte le comunità parrocchiali durante la fase Preparatoria-formativa; nella fase dell’ascolto e della consultazione; nella fase celebrativa già vissuta lo scorso anno pastorale.

Lo Spirito stesso ci ha fatto comprendere a più riprese che i tempi di Dio non sono i nostri tempi e per questo motivo ringraziamo il nostro Vescovo per avere prolungato i lavori di un altro anno ancora, certi che non sono le scadenze a dovere tracciare il cammino, bensì quanto il Signore fa capire lungo il cammino stesso.

Prima di sottolineare alcune nozioni fondamentali ed essenziali circa la tematica della IC, vorrei richiamare sinteticamente alcuni punti che sono emersi dalle assemblee parrocchiali e dai vari incontri vissuti nella fase dell’ascolto e della consultazione.

A proposito della IC cosi sono stati sintetizzati i seguenti temi fondamentali scaturiti dalla discussione e dalla riflessione:

Tutti i battezzati sono responsabili della vita ecclesiale;

La catechesi che si fa carico della trasmissione della fede, deve essere comunitaria e permanente;

La catechesi non deve essere finalizzata alla ricezione dei sacramenti, ma un cammino che accompagna tutte le fasi della vita;

Superamento dell’attuale impostazione della catechesi;

L’attenzione alla formazione dei catechisti;

Il coinvolgimento attivo dei ragazzi;

La famiglia al centro;

Una Chiesa sinodale esige di rivolgere maggiore attenzione alla formazione dei fedeli laici;

I ragazzi vanno accompagnati fino all’età adulta.3

 

L’iniziazione Cristiana

Prima di sottolineare alcuni elementi essenziali circa l’espressione Iniziazione Cristiana (IC), vorrei ricordare un testo del vangelo di Matteo, che sta a fondamento di tutto quello che diremo nella nostra riflessione che, per ovvie ragioni sarà molto breve e quindi inevitabilmente anche incompleta.

A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt 28,18-20). 

Le parole del Signore Risorto sono sempre per noi, uno straordinario annuncio di speranza e svelano il senso della missione affidata alla Chiesa; missione perenne che non conosce mai tramonto.

La sovranità universale e perenne del Figlio di Dio glorificato nella Pasqua, la sua presenza amorevole e la sua potenza redentrice costituiscono, così, l’orizzonte di salvezza nel quale si iscrive l’opera di evangelizzazione degli Apostoli e dei credenti di ogni tempo. 

Il Vangelo, potenza di Dio per chiunque crede (cf. Rm 1,16) conferirà in tal modo all’esistenza umana la forma che da sempre Dio desidera, consentendo ad ognuno che si affiderà al Crocifisso Risorto di conoscere il suo volto amabile e di servirlo in santità e giustizia (cf. Lc 1,72-75). 

Nell’ampio orizzonte dell’evangelizzazione, compito primario della comunità cristiana di tutti i tempi, si colloca l’Iniziazione Cristiana. 

Essa costituisce uno degli ambiti più importanti della missione della Chiesa e il cardine fondamentale della sua azione pastorale. 

L’Iniziazione Cristiana, infatti, “non è una delle tante attività della comunità cristiana, ma l’attività che qualifica l’esprimersi proprio della Chiesa nel suo essere inviata a generare alla fede e realizzare se stessa come madre”4.

Consapevole del suo grande valore, la Chiesa ha sempre investito nell’Iniziazione Cristiana le sue migliori energie e si è sempre interrogata sulle più adeguate modalità di attuazione. 

Ma che cosa intendiamo per Iniziazione Cristiana? 

Quale significato dobbiamo attribuire a questa espressione abbastanza familiare ma non sempre così immediatamente chiara?5

L’Iniziazione Cristiana possiamo definirla come l’introduzione e l’accompagnamento di ogni persona all’incontro personale con Cristo nella comunità cristiana, ovvero lo sviluppo del dono della salvezza accolto da ciascuno nella fede della Chiesa. 

Ogni parola ha qui il suo peso e il suo significato più pregnante, per cui l’essenza della Iniziazione Cristiana è l’incontro personale con il Cristo vivente, esperienza viva di attrazione nella potenza dello Spirito Santo che precede e fonda ogni conoscenza dottrinale e ogni scelta morale; tale incontro avviene nella comunità cristiana, luogo vitale e soggetto educante dei credenti in cammino.

Avviene, inoltre, secondo la modalità specifica dell’introduzione e dell’accompagnamento, cioè in un arco di tempo ben definito e secondo una pedagogia della fede che è propria della Chiesa stessa. In questo cammino di introduzione e di accompagnamento alla vita di fede hanno un posto di assoluta rilevanza i Sacramenti. 

Le diverse generazioni dei discepoli di Cristo hanno il compito di incarnare il Vangelo nel tempo in cui vivono. Cristo infatti ci è contemporaneo perché è “il Primo, l’Ultimo e il Vivente (Ap 1,17). 

Proprio per questo l’evangelizzazione acquista in ogni epoca della storia una sua propria forma. 

La Chiesa di oggi si interroga sulle nuove vie che lo Spirito sta aprendo, affinché la Parola che salva raggiunga tutti gli uomini. 

Tra le domande che riguardano l’evangelizzazione contemporanea vi è anche quella sull’Iniziazione Cristiana: è viva, infatti, l’esigenza di un rinnovamento della proposta di introduzione alla fede negli anni dell’infanzia e della fanciullezza. 

Tutto questo lo richiede il mutato contesto sociale ed ecclesiale. Occorre dunque comprendere le istanze di questo momento storico, per coglierne meglio la grazia e insieme affrontarne le sfide. Si tratta di un compito da assumere con passione e saggezza, docili all’azione dello Spirito.

Parlando di Iniziazione Cristiana intendiamo quindi riferirci ai primi anni della vita di una persona, più precisamente al cammino di crescita del dono della fede seminato in un bambino e in un ragazzo fino alla sua preadolescenza. 

Siamo ben coscienti che nella storia della Chiesa il senso dell’espressione non è sempre stato questo. In epoca apostolica, ma anche nei primi secoli, la formula chiamava in causa piuttosto gli adulti e il loro cammino catecumenale. 

Non possiamo tuttavia prescindere dalla constatazione che a tutt’oggi nella Chiesa italiana ed in particolare nella nostra Diocesi, la domanda del Battesimo per gli infanti è ancora la forma determinante di ingresso alla fede. 

Questo fenomeno chiede certamente una sapiente valutazione pastorale ma in ogni caso costituisce l’elemento determinante cui riferirsi per definire, in prima istanza, sia la stessa Iniziazione Cristiana che la sua attuazione pastorale. 

Se da una parte l’Iniziazione Cristiana degli adulti torna ad essere oggi di grande attualità, dall’altra per “Iniziazione Cristiana” non possiamo non intendere primariamente l’ingresso nella fede dei bambini e dei ragazzi. 

Resta vero che, come accennato, l’attuale situazione pastorale domanda una sapiente valutazione. Pensando anche agli anni successivi al Battesimo dei bambini la Conferenza Episcopale Italiana osserva: “Se da un lato non va disperso quel patrimonio che vede ancora una significativa adesione di fanciulli e ragazzi alla catechesi, dall’altro si impone un’ulteriore riflessione, se si vuole che le nostre parrocchie mantengano la capacità di offrire a tutti la possibilità di accedere alla fede in modo autentico e positivo”6.

Più in generale, occorre riconoscere che il contesto sociale e familiare nel quale i ragazzi oggi crescono è radicalmente cambiato. L’ambiente che li circonda spesso risulta povero di esperienze e di segni cristiani. 

Non è più possibile presupporre tranquillamente una vita comunitaria effettiva, una pratica di preghiera avviata, una vita morale sviluppata e una conoscenza effettiva di Gesù e della Chiesa. 

Più che generare però sterili lamentele, questa situazione deve diventare per noi un invito a rivisitare il percorso dell’Iniziazione Cristiana nella consapevolezza ritrovata dell’identità evangelizzatrice della Chiesa. 

Nel momento in cui iniziamo ad affrontare il tema della Iniziazione Cristiana è ovviamente inevitabile affrontare i nodi in ordine a questa parte della pastorale. 

Il modello di questa impegnativa forma di evangelizzazione resta sempre quello dei primi cristiani, così come lo presentano gli Atti degli Apostoli: 

Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere”.

Troviamo qui il modello ideale di quel cristianesimo adulto di cui oggi si parla tanto spesso: la Parola, la preghiera, i sacramenti, la carità: rimangono i pilastri della testimonianza cristiana.

L’Iniziazione Cristiana è la riscoperta dell’essere cristiani, nella sua bellezza e nella sua difficoltà. È un processo lungo che richiede pazienza e fiducia nello Spirito. Si tratta di coinvolgere il credente nel conformare la propria vita a Cristo per essere suo discepolo consapevole e responsabile.

Ricordiamo in proposito la definizione datane dalla CEI ben venti anni or sono, in occasione della pubblicazione dei nuovi catechismi: “Per iniziazione cristiana si intende il processo globale attraverso il quale si diventa cristiani. Si tratta di un cammino diffuso nel tempo scandito dall’ascolto della parola, dalla celebrazione e dalla testimonianza dei discepoli del Signore, attraverso il quale il credente compie un apprendistato globale della vita Cristiana e si impegna ad una scelta di fede e a vivere come figlio di Dio ed è assimilato con il Battesimo, la confermazione e l’Eucarestia al mistero pasquale di Cristo nella Chiesa”.

L’Iniziazione Cristiana trova la sua radice e la sua linfa vitale nel Battesimo, nella Cresima e nella Eucarestia: tre sacramenti, un unico processo; è un percorso che integra sempre annuncio, celebrazione e carità. 

Oggi la situazione di crisi della fede e della sua comunicazione è sotto gli occhi di tutti: il mondo sta cambiando.

La crisi è reale e non va sottovalutata; essa piuttosto interpella la Chiesa a recuperare uno sguardo di fede: anche questo è tempo di grazia, di iniziativa gratuita da parte di Dio, un tempo da abitare con tutto il nostro essere uomini e donne del nostro tempo.

È sicuramente il tempo in cui passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria: ciò significa che siamo nelle condizioni in cui la fede va proposta e non solo curata e mantenuta.

Tale conversione missionaria implica il fatto che è giunto il momento per avviare un vero e proprio cammino di rinnovamento della propria modalità di annuncio, per diventare centri di irradiazione e di testimonianza dell’esperienza cristiana. È tempo di operare una svolta configurando il proprio agire secondo il modello dell’IC, “che - intessendo tra loro testimonianza e annuncio, itinerario catecumenale, sostegno permanente della fede mediante la catechesi, vita sacramentale, mistagogia e testimonianza della carità – permette di dare unità alla vita della comunità e di aprirsi alle diverse situazioni spirituali dei non credenti, degli indifferenti, di quanti si accostano o si riaccostano al Vangelo, di coloro che cercano alimento per il loro impegno cristiano”7.

Ecco allora che oggi si parla della necessità di un primo annuncio per i ragazzi e di un secondo annuncio per i genitori, gli altri componenti della famiglia e gli stessi operatori pastorali.

 

Il “Primo annuncio”. 

«Cristiani non si nasce, si diventa», ha scritto Tertulliano. È un’affermazione particolarmente attuale, perché oggi siamo in mezzo a pervasivi processi di scristianizzazione, che generano indifferenza e agnosticismo. I consueti percorsi di trasmissione della fede risultano in non pochi casi impraticabili. Non si può più dare per scontato che si sappia chi è Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo, che si abbia una qualche esperienza di Chiesa. Vale per fanciulli, ragazzi, giovani e adulti; vale per la nostra gente e, ovviamente, per tanti immigrati, provenienti da altre culture e religioni. C’è bisogno di un rinnovato primo annuncio della fede. È compito della Chiesa in quanto tale, e ricade su ogni cristiano, discepolo e quindi testimone di Cristo; tocca in modo particolare le parrocchie. Di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali”8.

Con il primo annuncio, la Chiesa proclama il Vangelo e suscita la conversione. Nella prassi pastorale ordinaria, questo momento del processo evangelizzatore è fondamentale. Nella missione ad gentes, esso si realizza nel periodo chiamato precatecumenato. Nel momento attuale della nuova evangelizzazione si parla più volentieri, come si è già esposto, di catechesi kerygmatica”9

Il primo annuncio ha per oggetto Gesù Cristo incarnato, per noi crocifisso, morto e risorto, in cui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; ha per obiettivo la chiamata a conversione con la proposta dell’incontro con Gesù stesso. Quanto alle modalità, deve essere proposto con la testimonianza della vita, con la parola e la valorizzazione di tutti i canali espressivi adeguati, nel contesto della cultura dei popoli e della vita delle persone. Tale azione ecclesiale è originaria e fondativa di tutto il cammino, e comporta un legame molto forte con la Sacra Scrittura, visto che «la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm10,17)”10.

Perché parliamo di “primo annuncio”? A partire dagli anni ’90 e in particolare con il nuovo millennio il PA è diventato la parola d’ordine della catechesi, sia nei documenti del Magistero che nella riflessione catechetica. È il contesto attuale di secolarizzazione e di pluralismo culturale e religioso (fine della forma di cristianesimo sociologico) che ha provocato nella comunità ecclesiale la coscienza della necessità del PA. 

Siamo chiamati a passare da una “catechesi per la maturazione della fede” (già data) a una catechesi “di proposta della fede”, dalle “tradizioni cristiane” alla Tradizione (Traditio = consegna) della fede cristiana. 


 

Che cosa è il PA? Le definizioni sono varie, perché è un tema complesso, un dato in stato di ricerca di identità. Possiamo definirlo così:è l’annuncio del vangelo in vista di portare una persona all’incontro con Gesù nella comunità ecclesiale e a intraprendere un cammino di conversione. 

Questa definizione molto sintetica fa comprendere che il PA porta a una prima adesione di fede, che è allo stesso tempo atto, contenuto e atteggiamento. 

In quanto atto il primo annuncio mira a condurre una persona all’abbandono di sé al Signore Gesù, cioè a dare una prima risposta di fede personale e consapevole. È dunque nell’ordine della fiducia e dell’abbandono: una vita che decide di affidarsi al Dio di Gesù Cristo attraverso la docilità al suo Spirito. 

La fiducia e l’abbandono hanno bisogno di sapere a chi ci si affida. 

Il contenuto del PA è il mistero di Gesù Cristo, cioè la sua vita, la sua passione, morte e risurrezione (Kerigma) e alla luce di questo il volto del Padre suo e il dono del suo Spirito, che guida la Chiesa fino al suo ritorno definitivo. 

Il PA non va ridotto solo all’annuncio della Pasqua, ma a tutto il mistero di Cristo. Il contenuto del PA non è di tipo quantitativo (dire tutto della fede), ma di tipo intensivo qualitativo (dire “il tutto” della fede). 

Il “primo annuncio” è la testimonianza del Signore Gesù che porta al primo incontro con Lui. Contiene in sé già tutto il Vangelo, con quanto esso dona e chiede. 

Il PA come atteggiamento avvia le persone ad intraprendere un cammino di conversione, cioè a decidere di seguire Gesù e di conformare la propria vita sulla sua. Sfocia nel battesimo (o nella sua riscoperta) e nel cambiamento di vita. 

Il PA avvia la conversione, che deve poi continuare dentro la comunità cristiana che ascolta la Parola, celebra l’eucaristia, vive in comunione fraterna, si impegna nella carità e nella testimonianza. 

Chi sono i destinatari del PA? In senso proprio i destinatari del PA sono coloro che non conoscono Gesù e che non sono battezzati. Ma il PA è rivolto anche ai bambini e agli adulti che hanno ricevuto il battesimo ma se ne sono dimenticati (o non lo hanno mai assunto personalmente).

Infine di PA hanno bisogno tutti credenti, perché la loro fede tende a stemperarsi o è sottomessa alla prova. Il PA è necessario sempre per rendere ragione della speranza che è in noi. 

Il PA è “primo” in senso cronologico, perché indica quel tempo iniziale che porta all’adesione e ai primi passi nella fede, oppure alla sua riscoperta dopo l’abbandono o la dimenticanza. Avendo sviluppato per secoli le forme di catechesi come approfondimento di una fede già in atto (assimilata per osmosi familiare e culturale), data per scontata, oggi siamo chiamati a inserire nelle nostre comunità dei “tempi” di primo annuncio, cioè delle proposte per accompagnare nei primi passi della fede. 

Il PA non sta solo all’inizio cronologico della fede, ma sempre al suo centro. 

Non è solo un “tempo” che richiede dei passi successivi, ma è il “valore fondante” che deve essere presente in tutti i processi di evangelizzazione, nella pastorale come sua spina dorsale, nella vita e nell’agire della Chiesa. Il PA deve ispirare trasversalmente tutta la vita della Chiesa. Dobbiamo continuamente “ritornare al PA”, perché il valore della nostra fede non perda il suo splendore. 

Come si fa il PA? Come ci ha insegnato il catecumenato antico, il PA si attua in una molteplicità di forme, che comprendono certo delle catechesi, ma prima ancora la testimonianza (implicita ed esplicita), l’accostamento a esperienze significative, l’incontro con le celebrazioni liturgiche, le esperienze di carità. E’ riduttivo immaginare il primo annuncio come il semplice annuncio verbale del vangelo. Molte persone non accedono alla fede o non vi ritornano attraverso un discorso. Questo è fondamentale, ma spesso inutile se non accompagnato dalla testimonianza e dall’esperienza. 

Quanto ai linguaggi, il PA ricupera tutti i linguaggi della fede, in particolare quello narrativo (centrato sull’esperienza umana e sulla Parola di Dio), quello simbolico (proprio dei riti), quello della bellezza (arte, poesia…), quello argomentativo (la capacità di assumere i dubbi e le domande delle persone), quello esperienziale (bagno di vita ecclesiale). 

Ci sono infine diversi tentativi di PA dentro le parrocchie, nella pastorale ordinaria. Vanno in particolare segnalate le proposte di rinnovamento dei processi di iniziazione cristiana con il coinvolgimento dei genitori (IC secondo il modello catecumenale, Quattro tempi…), proposte nuove di preparazione al battesimo, esperienze di PA per genitori con figli 0-6 anni (primi passi), percorsi con fidanzati in prospettiva di PA…


 

Quali sono i tempi opportuni del PA? I passaggi di vita e le esperienze esistenziali che ogni donna e ogni uomo vivono sono le vere soglie di ingresso della fede, la quale può sorgere o risvegliarsi ad ogni passaggio chiave dell’esistenza. 

Nei primi passi della vita, nel tempo dell’adolescenza e della giovinezza, quando ci si innamora, quando si è in ricerca di un lavoro, quando nasce un figlio, nel tempo della maturità adulta, nei tempi di crisi, nelle fragilità fisiche e affettive, di fronte alla sofferenza e alla morte… Queste soglie di ingresso della fede sono gli appuntamenti nei quali la comunità cristiana deve essere presente per annunciare il Vangelo come “via di vita”. 

Il PA domanda alla pastorale tradizionale di “disorganizzare” i suoi impianti collaudati per “riorganizzarsi” sulla vita delle persone. 

Quale Chiesa per il PA? La questione del primo annuncio non si risolve con un cambio di strategie o con una più grande capacità comunicativa. Parte da un rinnovato ascolto del vangelo da parte della Chiesa. Essa può essere inaspettatamente aiutata proprio da coloro che cerca di aiutare. La via della riscoperta della fede, della sua preziosità, passa dal coraggio di riviverne l’esperienza originaria con coloro che si lasciano accompagnare, i quali mentre sono generati alla fede, rigenerano la Chiesa, la risvegliano allo stupore originario. Davvero i “ricomincianti” sono una grazia per la Chiesa. 


 

Tutto questo ovviamente ci porta a considerare la vocazione primaria della comunità cristiana che è il suo essere madre, chiamata sempre a generare nuovi figli:

"«Siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli» (1Ts 2,7): l’espressione paolina introduce il tema della maternità della Chiesa, – a cui Paolo aggiungerà anche la metafora paterna (cf. 1Ts 2,11) – per indicare una comunità che, su mandato del Signore e nella forza dello Spirito, genera alla fede. 

La Chiesa si mostra madre proprio in quanto genera alla vita di Dio e alla fede cristiana: «Per trasmettere un contenuto meramente dottrinale, un’idea, forse basterebbe un libro, o la ripetizione di un messaggio orale. Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua Tradizione
vivente, è la luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel suo centro, nel cuore, coinvolgendo la sua mente, il suo volere e la sua affettività, aprendola
a relazioni vive nella comunione con Dio e con gli altri"11

La famiglia

Nell’iniziazione cristiana la famiglia ha un ruolo tutto particolare. Spesso ci si trova in presenza di situazioni familiari molto diverse tra loro, che esigono da parte della comunità ecclesiale e dei suoi operatori un’assunzione di maggiore responsabilità e di ampia azione di accompagnamento. Diversa infatti è la situazione di genitori che intraprendono con il figlio il cammino dell’iniziazione da quella di coloro che restano indifferenti e lasciano libero il figlio di fare la scelta cristiana. Quali che siano le situazioni, è bene ricercare il coinvolgimento della famiglia o di alcuni suoi membri – fratelli o sorelle, parenti... –, o di persone strettamente collegate alla famiglia. La domanda di Battesimo per i fanciulli dovrà sempre essere accompagnata dal consenso dei genitori12

La famiglia ovviamente ha un ruolo fondamentale nell’educazione cristiana dei figli. A volte si pensa che l’istituzione familiare possa rappresentare un problema pastorale, ma forse proprio per questo va considerata come una risorsa.

La famiglia va dunque amata, sostenuta e resa protagonista attiva dell’educazione non solo per i figli, ma per l’intera comunità. Deve crescere la consapevolezza di una ministerialità che scaturisce dal sacramento del matrimonio e chiama l’uomo e la donna a essere segno dell’amore di Dio che si prende cura di ogni suo figlio”13

E IG sollecita:

pensare ai genitori cristiani, qualunque situazione essi vivano, come i primi educatori nella fede: essi, salvo espliciti rifiuti, con il dono della vita desiderano per i propri figli anche il bene della fede. Proprio per questo, la comunità cristiana deve alla famiglia una collaborazione leale ed esplicita, considerandola la prima alleata di ogni proposta catechistica offerta ai piccoli ed alle nuove generazioni. In tal senso va valorizzato ogni autentico sforzo educativo in senso cristiano compiuto da parte dei genitori”14.

Ciò ci spinge oggi a compiere una vera svolta copernicana in quanto la visione missionaria ci porta a spostare di fatto e gradualmente il centro gravitazionale dai piccoli (una catechesi puerocentrica) agli adulti. Ovviamente tutto questo non per sminuire l’itinerario dei ragazzi, ma per passare in maniera significativa a un vero processo di catechesi per gli adulti, convinti che questa sia la premessa migliore per garantire l’efficace vera dell’azione pastorale con i figli. Non si può nascondere inoltre che una delle lacune dell’attuale prassi catechistica è infatti una carenza di dialogo tra famiglie e comunità cristiane, evidenziata in particolar modo dalla sostanziale estraneità della prima fase della vita del bambino che va dal battesimo (quando ancora richiesto) alla cosiddetta iscrizione alla catechesi intorno all’età di 7/8 anni circa.

Oggi sono tante le discussioni che ruotano attorno alla famiglia: è analizzata, apprezzata, amata e a volte anche idealizzata. Gli studiosi parlano di diversi modelli (patriarcale, nucleare o affettiva, negoziale, spezzata e non famiglia)

Importante ovviamente, riscoprire la famiglia cristiana fondata sul sacramento del matrimonio senza dimenticare che la realtà è molto più complessa e a volte complicata.

Fatta questa premessa però va riscoperto il ruolo primario della famiglia nella educazione dei figli. Formando famiglie mature è necessario che i genitori lascino che la Parola di Dio passi attraverso di loro; in tal modo la famiglia in quanto chiesa domestica riflette in sé i differenti aspetti della Chiesa stessa (missione, catechesi, testimonianza, preghiera…) e come luogo di catechesi ha la prerogativa unica di trasmettere il vangelo, radicandolo nel contesto di profondi valori umani.

I vescovi italiani già da tempo chiedono questo coinvolgimento attivo e responsabile della famiglia:

L’iniziazione cristiana dei fanciulli interpella la responsabilità originaria della famiglia nella trasmissione della fede. Il coinvolgimento della famiglia comincia prima dell’età scolare, e la parrocchia deve offrire ai genitori gli elementi essenziali che li aiutino a fornire ai figli l’“alfabeto” cristiano. Si dovrà perciò chiedere ai genitori di partecipare a un appropriato cammino di formazione, parallelo a quello dei figli. Inoltre li si aiuterà nel compito educativo coinvolgendo tutta la comunità, specialmente i catechisti, e con il contributo di altri soggetti ecclesiali, come associazioni e movimenti”15.

Per questo motivo leggiamo ancora: 

dedicare tempo a motivare i genitori, sensibilizzandoli e aiutandoli a riscoprire la propria identità di adulti nella fede; stare accanto alla famiglia che si interroga sull’educazione cristiana, come componente vitale per i propri figli; offrire occasioni di conoscenza e di incontro perché cresca, anche tra le famiglie, lo spirito comunitario e solidale; proporre esperienze di vita cristiana per maturare uno stile di collaborazione con la comunità cristiana e le altre istituzioni educative16.

Il coinvolgimento attivo e responsabile della famiglia nella IC dei figli, nell’orizzonte missionario della comunità parrocchiale, diventa così occasione propizia per favorire il suo risveglio della fede.

Ecco la grande importanza della pastorale battesimale, momento propizio e favorevole per questo risveglio ora qui accennato. Gli adulti che generano i bambini alla vita si possono così risvegliare a una vita che va verso l’oltre, magari facendo riemergere interrogativi esistenziali sopiti da tempo.

Al momento in cui inizia poi il percorso per il completamento della IC può realizzarsi qualcosa di grande e di bello: mentre i genitori aiutano i figli a credere, essi stessi compiono in loro compagnia un tratto di strada della fede e magari ricominciano a credere.

Parliamo così di primato della comunità cristiana e di comprimato della famiglia nell’ambito dell’educazione nella fede.

Perché ciò avvenga è necessario che la famiglia si riappropri del suo naturale compito educativo superando la tentazione della delega. Tutto questo superando due estremi: il totale disinteresse della famiglia da una parte o la scomparsa della comunità cristiana dall'altra.

Sicuramente ancora oggi la richiesta dei sacramenti per i propri figli costituisce una grande opportunità pastorale da accogliere e da valorizzare. Ecco l’importanza di educare i genitori a trasformare la richiesta dei sacramenti in una richiesta di crescita cristiana dei figli e quindi anche di loro stessi.

Ciò comporta la creazione da parte della comunità cristiana di relazioni vere e profonde con i genitori fin dai primi momenti, evitando ad esempio delle condizioni che possano apparire come dei ricatti, trattandoli da adulti e offrendo loro vere esperienze di vita.

Ecco allora che oggi si parla di catechesi alle famiglie, nelle famiglie, con le famiglie e familiare.

Tutto questo ovviamente va fatto con gradualità e rispetto, e comunque sempre nella vicinanza e nella condivisione.

Un esempio concreto di come pensare l’ispirazione catecumenale di tutta la pastorale ci viene dato dal documento del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale. Orientamenti pastorali per le Chiese particolari.


 

Iniziamo con la lettura di due testi:

L’idea di costruire degli itinerari catecumenali per il matrimonio non è nuova nella riflessione ecclesiale. Dopo i due Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015, papa Francesco l’ha proposta a più riprese nel suo magistero ordinario ed essa ha gradualmente preso forma nella sua riflessione pastorale, disegnando le linee di rinnovati percorsi di accompagnamento al matrimonio


 

In una prospettiva pastorale di lungo periodo, sarebbe bene che l’itinerario catecumenale vero e proprio fosse preceduto da una fase precatecumenale: questa coinciderebbe in pratica con il lungo tempo della “preparazione remota” al matrimonio, che ha inizio dall’infanzia. La fase propriamente catecumenale è costituita da tre tappe distinte: la preparazione prossima, la preparazione immediata e l’accompagnamento dei primi anni di vita matrimoniale. Tra la fase precatecumenale e quella propriamente catecumenale si può prevedere una fase intermedia, nella quale avviene l’accoglienza dei candidati, che potrebbe concludersi con un rito di ingresso al catecumenato matrimoniale. Riassumendo schematicamente ciò che verrà esposto in seguito, questa potrebbe essere la successione delle varie fasi e tappe, con alcuni dei riti e ritiri che ne scandiscono i passaggi: 

Fase pre-catecumenale: preparazione remota 

Pastorale dell’infanzia 

Pastorale giovanile 

Fase intermedia (alcune settimane): tempo di accoglienza dei candidati 

- Rito di ingresso al catecumenato (a conclusione della fase di accoglienza)

C. Fase catecumenale 

- Prima tappa: preparazione prossima (circa un anno) 

Rito del fidanzamento (a conclusione della preparazione prossima)
Breve ritiro di ingresso alla preparazione immediata 

Seconda tappa: preparazione immediata (alcuni mesi) Breve ritiro in preparazione alle nozze (a pochi giorni dalla celebrazione) 

Terza tappa: primi anni di vita matrimoniale (2-3 anni)17

Un'ultima parola va detta sulla necessità di rivedere l'ordine dei Sacramenti nell'attuale prassi della iniziazione cristiana. È necessario che questa assise sinodale si interroghi su come riscoprire l'unità dei tre Sacramenti, il loro ordine teologico e quindi considerare l'Eucaristia come il culmine di questo processo di iniziazione alla vita in Cristo.

In tale ottica si impone la considerazione della centralità del giorno del Signore e la necessità di riscoprire tale giorno come il giorno della comunità e di ciascun battezzato.

Il seguente testo ricorda tutto ciò con grande chiarezza e puntualità:

La vita della parrocchia ha il suo centro nel giorno del Signore e l’Eucaristia è il cuore della domenica. Dobbiamo “custodire” la domenica, e la domenica “custodirà” noi e le nostre parrocchie, orientandone il cammino, nutrendone la vita. È necessario ripresentare la domenica in tutta la sua ricchezza: giorno del Signore, della sua Pasqua per la salvezza del mondo, di cui l’Eucaristia è memoriale, origine della missione; giorno della Chiesa, esperienza viva di comunione condivisa tra tutti i suoi membri, irradiata su quanti vivono nel territorio parrocchiale; giorno dell’uomo, in cui la dimensione della festa svela il senso del tempo e apre il mondo alla speranza. La qualità delle celebrazioni eucaristiche domenicali e festive va curata in modo particolare: equilibrio tra Parola e Sacramento, cura dell’azione rituale, valorizzazione dei segni, legame tra liturgia e vita. La Parola, nella proclamazione e nell’omelia, va presentata rispettando il significato dei testi e tenendo conto delle condizioni dei fedeli, perché ne alimenti la vita nella settimana. Il rito va rispettato, senza variazioni o intromissioni indebite. I segni e i gesti siano veri, dignitosi ed espressivi, perché si colga la profondità del mistero; non vengano sostituiti da espedienti artificiosi; parlano da soli e non ammettono il prevaricare delle spiegazioni; così si salvaguarda la dimensione simbolica dell’azione liturgica. La celebrazione ha un ritmo, che non tollera né fretta né lungaggini e chiede equilibrio tra parola, canto e silenzio. Si dia spazio al silenzio, componente essenziale della preghiera ed educazione ad essa; si dia valore al canto, quello che unisce l’arte musicale con la proprietà del testo. Va curato il luogo della celebrazione, perché sia accogliente e la fede vi trovi degna espressione artistica. C’è bisogno, insomma, di «una liturgia insieme seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini». In ogni parrocchia ci sia una preparazione accurata, che coinvolga varie ministerialità, nel rispetto di ciascuna, a cominciare da quella del sacerdote presidente, senza mortificare quelle dei laici. Perché le celebrazioni siano dignitose e fruttuose, se ne valuti il numero, gli orari, la distribuzione nel territorio. Si promuovano altre forme di preghiera, liturgiche o di pietà, consegnateci dalla tradizione, per prolungare nella giornata festiva, in chiesa e in famiglia, il dialogo con il Signore18


4. IL MINISTERO DEI CATECHISTI

"La funzione peculiare svolta dal Catechista, comunque, si specifica all’interno di altri servizi presenti nella comunità cristiana. Il Catechista, infatti, è chiamato in primo luogo a esprimere la sua competenza nel servizio pastorale della trasmissione della fede che si sviluppa nelle sue diverse tappe: dal primo annuncio che introduce al kerygma, all’istruzione che rende consapevoli della vita nuova in Cristo e prepara in particolare ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, fino alla formazione permanente che consente ad ogni battezzato di essere sempre pronto «a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza» (1 Pt 3,15). Il Catechista è nello stesso tempo testimone della fede, maestro e mistagogo, accompagnatore e pedagogo che istruisce a nome della Chiesa. Un’identità che solo mediante la preghiera, lo studio e la partecipazione diretta alla vita della comunità può svilupparsi con coerenza e responsabilità"19

Da questo teso emerge chiaramente che il ministero dei catechisti è delicato e fondamentale; sicuramente la parrocchia è e rimane il luogo ordinario dell'Iniziazione cristiana e nella parrocchia il ruolo dei catechisti va sempre più riscoperto, accompagnato e valorizzato. Essi sono innanzitutto dei credenti autentici. 

"In generale, il catechista è un credente che si colloca dentro il progetto amorevole di Dio e si rende disponibile a seguirlo; come testimone di fede, egli: vive la risposta alla chiamata dentro una comunità, con la quale è unito in modo vitale, che lo convoca e lo invia ad annunciare l’amore di Dio; 

è capace di un’identità relazionale, in grado di realizzare sinergie con gli altri agenti dell’educazione; 

svolge il compito specifico di promuovere itinerari organici e progressivi per favorire la maturazione globale della fede in un determinato gruppo di interlocutori; 

con una certa competenza pastorale, elabora, verifica e confronta costantemente la sua azione educativa nel gruppo dei catechisti e con i presbiteri della comunità; 

armonizza i linguaggi della fede – narrativo, biblico, teologico, simbolico-liturgico, simbolico-esperienziale, estetico, argomentativo – per impostare un’azione catechistica che tenga conto del soggetto nella integralità della sua capacità di apprendimento e di comunicazione; 

si pone in ascolto degli stimoli e delle provocazioni che provengono dall’ambiente culturale in cui si trova a vivere20

Sono uomini e donne della memoria;testimoni, educatori e accompagnatori; abilitati al servizio con due obiettivi fondamentali: essere discepoli e comunicatori. a tal proposito si individuano quattro dimensioni formative: essere, sapere, saper fare, saper stare con. 


LA FORMAZIONE DEI CATECHISTI: METODO, LINGUAGGIO E CONTENUTI

L’importanza della formazione dei catechisti è stata sottolineata in numerosi documenti dell’Episcopato Italiano e degli organismi ad esso collegati. Si ribadisce, tra l’altro, la necessità di dare maggiore spazio e importanza alla formazione dei catechisti, troppo spesso trascurata o sottovalutata. 

Spesso la preoccupazione principale, infatti, si concentra maggiormente sugli “attrezzi del mestiere” da consegnare al catechista, necessari, ma non primari; occorre invece lasciarsi di nuovo educare dal Vangelo e dal suo stile. 

 

I Linguaggi

I catechisti sanno bene per esperienza diretta quanta importanza rivesta la comunicazione nella catechesi, così come in ogni processo educativo. I linguaggi che noi adottiamo possono favorire o ostacolare la comunicazione. Si rivela importante dunque conoscere le dinamiche della comunicazione e esaminare criticamente i linguaggi che noi adottiamo per trasmettere la fede. La tradizione stessa ci insegna che la Chiesa ha sempre cercato di “aggiornare” i propri linguaggi proprio per restare fedele al messaggio della fede, che essa deve trasmettere. 

I linguaggi della catechesi costituiscono esperienze attraverso le quali poter vivere, l'incontro d'amicizia con Gesù. 

L’era digitale obbliga a ripensare la comunicazione in chiave d’interazione, condivisione e partecipazione e non più di semplice trasmissione. Si pensi alle reti sociali digitali. Ai catechisti va fatto presente o ricordato che, consapevoli o meno , anche loro sono immersi nel mondo delle reti sociali e che queste godono di sempre più ampio consenso perché coinvolgono lepersone nel rispondere ad aspirazioni radicate nel cuore dell’uomo: costruire relazioni e trovare amicizia, cercare risposte agli interrogativi profondi della vita, divertirsi, ma anche essere stimolati intellettualmente e nel condividere competenze e conoscenze21 .

Il catechista deve utilizzare i nuovi linguaggi mettendoli al servizio del Vangelo, perché la Buona 

Scrive papa Francesco: «Un dialogo è molto più che la comunicazione di una verità. Si realizza per il piacere di parlare e per il bene concreto che si comunica tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole»22

Se gli interlocutori sono al centro della nostra attenzione, sapremo sempre considerarli attori protagonisti del dialogo, e non soltanto mansueti ricettori della nostra sapienza. Abbiamo un messaggio prezioso, non lo consegneremo senza incrociare gli occhi dei destinatari.

 

LE EQUIPE CATECHISTICHE E IL LORO RUOLO

Il lavoro di gruppo è importante, e soprattutto è fondamentale costituire un’equipe in cui le persone possono confrontare i propri limiti e le proprie risorse, in cui possono elaborare proposte significative e attivarsi per cercare soluzioni ai problemi. È nel gruppo dei catechisti che il catechista continua la sua formazione e la vive permanentemente. Quando il gruppo è ben organizzato, diventa fonte di vita, speranza e gioia. Il gruppo è capace di sostenere, di far superare le incertezze e le insicurezze dei catechisti, così che essi possano perseverare nella loro missione e non scoraggiarsi e abbandonarla.23

Un aspetto importante all’interno del lavoro di gruppo è la programmazione. Programmare vuol dire coinvolgere tutte le persone che partecipano alle attività e fare chiarezza sui contenuti e sul metodo di lavoro, valorizzando le risorse umane presenti. 

La programmazione aiuta a non perdere di vista gli obiettivi e individuare le priorità.

 

CATECHESI E ORATORIO

L’oratorio è l’investimento più concreto con cui una comunità cristiana esprime vicinanza e attenzione alle giovani generazioni!”24.

L’oratorio accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni e rende i laici protagonisti, affidando loro responsabilità educative. Adattandosi ai diversi contesti, l’oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegna animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. I suoi strumenti e il suo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidiana dei più giovani: aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio». Si vuole pertanto sviluppare una riflessione in termini di pastorale integrata per rendere ancora più visibile il volto missionario ed educativo della parrocchia quale risposta al secolarismo che determina sempre più l’abbandono della fede e della vita ecclesiale da parte delle nuove generazioni. L’oratorio, in questa ottica di pastorale integrata, diventa una proposta qualificata della comunità cristiana per rigenerare sè stessa e rispondere in maniera appropriata al relativismo pervasivo che è ben riscontrabile anche nei processi educativi25

 

5. I padrini e le madrine: formazione e ministero. 

Se i genitori vanno riconosciuti come primi educatori della fede dei loro figli, i padrini e madrine hanno la responsabilità di collaborare con loro per accompagnare i bambini e i giovani loro affidati. Grande cura andrà, quindi, riservata a quanti, all’interno dell’ambiente familiare o comunitario, possono essere scelti per rivestire tale ruolo: lungi dallo svilirli a livello pratico, si tratta di prepararne la scelta, la qualificazione e la valorizzazione”26.

L’usanza di affiancare ai battezzandi delle persone mature nella fede, con il compito di garantirne la retta e sincera intenzione davanti alla comunità cristiana, è documentata nella chiesa fin dai primi secoli. Essendo per la maggior parte adulti coloro che chiedevano di entrare nel tempo del catecumenato, il padrino o garante (sponsor) era chiamato anzitutto a discernere la volontà del candidato, mettendolo a sua volta in relazione alla comunità credente e al nuovo stile di vita che era chiamato ad assumere una volta ricevuti i sacramenti di iniziazione cristiana. Inoltre, aveva il compito di assisterlo sia durante i riti di preparazione alla celebrazione dei sacramenti, sia dopo, aiutandolo a muovere i primi passi da neofito. 

Diverse a tal proposito sono le fonti patristiche, liturgiche e magisteriali che documentano l’esistenza di padrini/madrine fin dall’antichità.27

Già a partire dalla seconda metà del primo millennio, l’afflusso massiccio di nuovi cristiani nella chiesa e la concezione maturata nel tempo di dare il battesimo ai bambini quamprimum per scongiurare il pericolo di morte senza sacramento avviano l’iniziazione cristiana verso un graduale declino che farà perdere di vista l’unitarietà teologica e liturgica dei tre sacramenti, considerati sempre più come celebrazioni a sé stanti.28 Trattandosi ormai per la gran parte di cosiddetti battesimi di necessità,29si perderà inoltre ogni riferimento al tempo pasquale a favore di qualsiasi altro periodo dell’anno. 

È in questo mutato contesto storico-sociale che l’ufficio del padrinato conosce notevoli cambiamenti circa il significato e le funzioni da adempiere. Se in origine, infatti, il padrino si faceva garante della sincera conversione e della retta intenzione del proprio figlioccio, aiutandolo ad inserirsi nella comunità cristiana, in epoca medievale assumerà sempre più un ruolo di esemplarità che finirà per soppiantare quello dei genitori. Perdendo dunque ogni riferimento di tipo ecclesiale, il ruolo del padrino assumerà sempre più i contorni di una guida spirituale, con il compito di vigilare sulla condotta morale del proprio figlioccio ed eventualmente di redarguirlo riportandolo sulla retta via.30

Senza subire sostanziali trasformazioni, il rituale di iniziazione cristiana giunto al Vaticano II era ancora quello tridentino, rimaneggiato diverse volte, e malamente adattato ai bambini da battezzare ma non da confermare, dal momento che la cresima nella chiesa latina continuava ad essere legata al vescovo o a qualcuno da lui delegato. Per quanto riguarda l’Eucaristia, sarà Pio X con il decreto Quamsingulari nel 1910 a collocarla intorno ai sette anni, considerati un’età sufficientemente matura per poter distinguere il pane eucaristico dal semplice pane materiale. Circa il ruolo del padrino/madrina non conosce sostanziali trasformazioni, continuando pertanto a svolgere un ruolo di guida spirituale e morale nei confronti dei figliocci, spesso sovrapponendosi o perfino sostituendosi quasi al ruolo dei genitori. 

Frutto della riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II dopo la promulgazione della Sacrosanctum Concilium, sono i nuovi Rituali del Battesimo dei bambini (Ordo Baptismi parvulorum) nel 1969, che ripensa interamente il rito allo scopo di adattarlo alla reale condizione dei bambini e porre in maggior rilievo il compito e i doveri dei genitori e dei padrini,31 e dell’Iniziazione cristiana degli adulti (Ordo Initiationis christianae adultorum) nel 1972, che snellisce il rito precedente e ripristina il catecumenato, diviso in più gradi, stabilendo tempi e riti da celebrarsi in tempi successivi, dopo una conveniente preparazione.32

Nelle introduzioni generali di entrambi i Riti, a proposito dei compiti e dei requisiti dei padrini e delle madrine si legge: 


Secondo la primitiva tradizione della Chiesa, per ammettere un adulto al Battesimo si richiede un padrino, scelto in seno alla comunità cristiana. Egli aiuterà il battezzando almeno nell’ultima fase di preparazione al sacramento e, dopo il Battesimo, lo sosterrà, perché perseveri nella fede e nella vita cristiana. Anche nel Battesimo dei bambini si richiede il padrino: egli amplia, in senso spirituale, la famiglia del battezzando e rappresenta la Chiesa nel suo compito di madre. Se è necessario, collaborerà con i genitori perché il bambino giunga alla professione personale della fede e la esprima nella realtà della vita.

Il padrino deve intervenire almeno negli ultimi riti del catecumenato e nella celebrazione del Battesimo, sia per essere garante della fede di un battezzando adulto, sia per professare, insieme con i genitori, la fede della Chiesa, fede nella quale il bambino è battezzato.

Il padrino viene scelto o dal catecumeno stesso o dalla famiglia del bambino. Il pastore d’anime si renderà conto se abbia i requisiti necessari per compiere gli atti liturgici che gli sono propri (cfr n. 9), se cioè: a) abbia la maturità sufficiente per compiere questo ufficio; b) abbia ricevuto i tre sacramenti della iniziazione cristiana: Battesimo, Confermazione, Eucaristia; c) appartenga alla Chiesa cattolica e non sia impedito, a norma del diritto, di compiere il suo ufficio. Se i genitori lo desiderano, accanto al padrino cattolico (o alla madrina cattolica), può essere ammesso come padrino o testimone del Battesimo anche un battezzato, nato ed educato nella fede di Cristo in una comunità separata. Si tengano però presenti per i singoli casi le norme stabilite in materia di ecumenismo (cfr Direttorio ecumenico, n. 57).33

Alla luce della riforma conciliare, emerge con chiarezza, dai paragrafi sopra riportati, che il ruolo del padrino/madrina sia stato rivalutato nel solco della genuina tradizione della chiesa che fin dalle origini si è presa cura di affiancare, prima ai catecumeni e successivamente ai neofiti, persone adulte nella fede in grado di sostenere con l’esempio la scelta di fede fatta dal proprio figlioccio. 

Un primo elemento che merita attenzione è dato dal fatto che il padrino/madrina non dev’essere un estraneo all’interno della comunità ecclesiale, ma al contrario un membro conosciuto e maturo nella fede in grado di affiancare il figlioccio, nel caso si tratti di un catecumeno adulto, nell’ultima fase di preparazione al sacramento e successivamente di sostenerlo, affinché perseveri nella fede e nella vita cristiana. Anche nel caso del battesimo dei bambini, il padrino ricopre una funzione primariamente ecclesiale, dal momento che rappresenta la chiesa nel suo compito di madre, ampliando pertanto la famiglia del battezzando oltre i confini del proprio nucleo familiare.

Una significativa novità, rispetto al passato, è rappresentata dal fatto che ora il padrino, nel caso dei bambini, non sostituisce più i genitori, né durante il rito né tantomeno nel compito dell’educazione cristiana, limitandosi a collaborare con essi, se è necessario, perché il bambino giunga alla professione personale della fede e la esprima nella realtà della vita.

Liturgicamente, compito del padrino è quello di intervenire negli ultimi riti del catecumenato, scrutini e consegne, in qualità di garante della fede del battezzando adulto34, oppure, nel caso dei bambini, di professare insieme ai genitori la fede della chiesa. 

 

Al numero 43 dell’introduzione al Rito di Iniziazione cristiana degli adulti si legge inoltre: 

 

Il padrino, scelto dal catecumeno per il suo esempio, per le sue doti e per la sua amicizia, delegato dalla comunità cristiana locale e approvato dal sacerdote, accompagna il candidato nel giorno dell’elezione, nella celebrazione dei sacramenti e nel tempo della mistagogia. È suo compito mostrare con amichevole familiarità al catecumeno la pratica del Vangelo nella vita individuale e sociale, soccorrerlo nei dubbi e nelle ansietà, rendergli testimonianza e prendersi cura dello sviluppo della sua vita battesimale. Scelto già prima della «elezione» esercita pubblicamente il suo ufficio dal giorno dell’«elezione», quando rende testimonianza sul catecumeno davanti alla comunità; il suo ufficio conserva tutta la sua importanza anche quando il neofito, ricevuti i sacramenti, ha ancora bisogno di aiuto e di sostegno per rimanere fedele alle promesse del Battesimo.35 

 

Anche in questo caso, viene ribadito che il padrino, delegato dalla comunità cristiana locale e approvato dal sacerdote, oltre a prendere parte attiva ai riti liturgici, deve distinguersi per una degna condotta morale, in sintonia con gli insegnamenti della chiesa, affiancando il proprio figlioccio prima e dopo la celebrazione dei sacramenti, sì da prendersi cura dello sviluppo integrale della vita battesimale. 

Il Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983, recepisce a proposito dei padrini e delle madrine di battesimo e cresima quanto espresso già nei due rituali sopra menzionati, senza ulteriori precisazioni. I requisiti per rivestire tale ruolo sono indicati in modo molto preciso dai canoni 872-874, per quanto riguarda il Battesimo, e dai canoni 892-893 per la Cresima. 

Can. 872 - Al battezzando, per quanto è possibile, venga dato un padrino, il cui compito è assistere il battezzando adulto nell'iniziazione cristiana, e presentare al battesimo con i genitori il battezzando bambino e parimenti cooperare affinché il battezzato conduca una vita cristiana conforme al battesimo e adempia fedelmente gli obblighi ad esso inerenti.

Can. 873 - Si ammettano un solo padrino o una madrina soltanto, oppure un padrino e una madrina.

Can. 874 - §1. Perché uno possa essere ammesso all'incarico di padrino, è necessario che:

1) sia designato dallo stesso battezzando o dai suoi genitori o da chi ne fa le veci oppure, mancando questi, dal parroco o dal ministro e abbia l'attitudine e l'intenzione di esercitare questo incarico;

2) abbia compiuto i sedici anni, a meno che dal Vescovo diocesano non sia stata stabilita un'altra età, oppure al parroco o al ministro non sembri opportuno, per giusta causa, ammettere l'eccezione;

3) sia cattolico, abbia già ricevuto la confermazione e il santissimo sacramento dell'Eucaristia, e conduca una vita conforme alla fede e all'incarico che assume;

4) non sia irretito da alcuna pena canonica legittimamente inflitta o dichiarata;

5) non sia il padre o la madre del battezzando.

§2. Non venga ammesso un battezzato che appartenga ad una comunità ecclesiale non cattolica, se non insieme ad un padrino cattolico e soltanto come testimone del battesimo.

Can. 892 - Il confermando sia assistito per quanto è possibile dal padrino, il cui compito è provvedere che il confermato si comporti come vero testimone di Cristo e adempia fedelmente gli obblighi inerenti allo stesso sacramento.

Can. 893 - §1. Affinché uno possa adempiere l'incarico di padrino, è necessario che soddisfi le condizioni di cui nel can. 874.

§2. È conveniente che come padrino venga assunto colui che ebbe il medesimo incarico nel battesimo.

Ancora una volta l’identità e il ruolo dei padrini/madrine viene ribadito con la chiarezza tipica del legislatore che non lascia dubbi sul fatto che colui o colei scelto per assumere questo ruolo è chiamato a sostenere un compito davvero prezioso e importante che precede e segue il momento celebrativo. Proprio per questo, è quantomai necessario scegliere una persona che, al di là del rapporto di amicizia,abbia i requisiti necessari per affiancare cristianamente il proprio figlioccio, partecipando attivamente alla vita liturgica ed ecclesiale e offrendo una chiara testimonianza di vita.36

Il Direttorio per la Catechesi, pubblicato nel 2020, al capitolo III dedicato alla figura del catechista, accanto ai genitori, considerati soggetti attivi della catechesi, pone i padrini e le madrine: 

Nel percorso di iniziazione alla vita cristiana, la Chiesa invita a rivalutare l’identità e la missione del padrino e della madrina, come sostegno all’impegno educativo dei genitori. Il loro compito è di «mostrare con amichevole familiarità al catecumeno la pratica del Vangelo nella vita individuale e sociale, soccorrerlo nei dubbi e nelle ansietà, rendergli testimonianza e prendersi cura dello sviluppo della sua vita battesimale». Si è consapevoli che spesso la scelta non è motivata dalla fede, ma si basa su consuetudini familiari o sociali: ciò ha contribuito non poco allo svilimento di queste figure educative. In vista della responsabilità che questo ruolo comporta, la comunità cristiana indichi, con discernimento e spirito creativo, percorsi di catechesi ai padrini, che li aiutino a riscoprire il dono della fede e dell’appartenenza ecclesiale. Coloro che sono indicati per questo ruolo si sentono spesso provocati a risvegliare la fede battesimale e a iniziare un rinnovato cammino di impegno e testimonianza. L’eventuale rifiuto a svolgere tale incarico potrebbe avere per loro conseguenze che è necessario valutare con molta attenzione pastorale. Nei casi in cui non ci siano le condizioni oggettive perché una persona possa espletare questo compito, condizioni che è doveroso far presente nel dialogo che precede la scelta, in accordo con le famiglie e secondo il discernimento dei pastori, si possono individuare i padrini anche tra gli operatori pastorali (catechisti, educatori, animatori), che siano testimoni di fede e presenza ecclesiale.37

Prendendo atto che nel tempo la figura del padrino/madrina ha perso gran parte della sua originaria funzione, compromettendone la stessa identità, nel testo sopra riportato viene auspicata una rivalutazione di tale ufficio in ordine alla funzione educativa a fianco dei genitori. A tal proposito viene chiesto espressamente alle comunità, intese come realtà educative, di adottare nuovi criteri di discernimento, non più basati semplicemente su vincoli parentali o amicali, come finora accaduto nel gran parte dei casi, con esiti spesso deludenti. 

È quanto mai necessario, in questo mutato contesto socio-culturale in gran parte scristianizzato, che il ruolo del padrino/madrina venga dunque considerato alla stregua di uno dei tanti ministeri che arricchiscono la comunità ecclesiale. Fare da padrino/madrina non dev’essere considerato semplicemente un compito privato da assolvere, prescindendo dal proprio vissuto di fede. Così come i ministeri traggono origine da un carisma personale, riconosciuto dalla chiesa, che precede e accompagna il servizio da svolgere, allo stesso modo il padrino/madrina dev’essere considerato un ministero che necessità di un carisma ben preciso legato alla paternità/maternità spirituale e che a sua volta trae origine dal sacerdozio battesimale. 

A proposito dell’importanza imprescindibile della comunità credente, chiamata a farsi carico dell’accompagnamento spirituale dei candidati al battesimo e delle rispettive famiglie, si legge nella prima Nota pastorale riguardante l’Iniziazione cristiana: 

 

Tutti i battezzati della comunità sono chiamati ad accompagnare spiritualmente il cammino di fede dei nuovi credenti e devono «aiutare i candidati e i catecumeni in tutto il corso dell'iniziazione, dal precatecumenato al catecumenato, al tempo della mistagogia. (RICA, 41).38

 

Dalla lettura del testo sopra riportato, emerge con chiarezza che è la comunità cristiana a rappresentare il contesto vitale dove ogni carisma e ministero prende avvio sotto l’azione dello Spirito Santo. Chiamata a discernere e ad educare, la comunità ecclesiale, insieme ai pastori, svolge pertanto un ruolo primario nella scelta dei padrini/madrine, in quanto ne garantisce l’idoneità, assicurandone la dovuta preparazione e competenza. 

Alla luce di quanto detto, al fine di prevenire situazioni in cui il ruolo del padrino/madrina si riduca semplicemente ad una mera funzione di tipo liturgico, nonché coreografico e marginale, si rende quanto mai necessario l’ideazione di un vero e proprio percorso formativo che, sull’esempio della preparazione dei nubendi al matrimonio, faccia discernimento e prepari i futuri padrini e madrine al ruolo che li attende, con consapevolezza e con maturità. È auspicabile che annualmente, a livello interparrocchiale o vicariale, venga proposto un numero sufficiente di incontri catechetici che “li aiutino a riscoprire il dono della fede e dell’appartenenza ecclesiale”. 

 

La presenza del testimone al battesimo e alla confermazione 

Riguardo alla possibilità che ci possa essere un testimone diverso dal padrino/madrina per il battesimo o la cresima, è da intendersi non come presenza alternativa, ma in aggiunta, così come è detto chiaramente nell’Introduzione generale al Rito di iniziazione cristiana degli adulti.39 Diversamente intesa, si correrebbe il rischio di fraintendere la figura del testimone come una sottospecie di padrino/madrina che, nell’impossibilità di svolgere appieno la propria funzione perché non in possesso dei requisiti necessari, soddisfi semplicemente il desiderio del battezzando/cresimando per amicizia o vincoli parentali.

 

1 Papa Francesco, EvangeliiGaudium, Esortazione Apostolica, Roma 2013, N.164

2 Ibidem 167

3 Proposte delle assemblee in sintesi a cura della prof.ssa Adriana Iovino in Vescovo e popolo di Dio: in ascolto e in dialogo per una Chiesa sinodale, Cefalù 2023.

4 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio e Catechesi per la vita cristiana. Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento di Base, Roma, 2010, n. 14.

5 Così la definisce la CEI: “Il progressivo attuarsi nel tempo del progetto salvifico di Dio, che chiama l'uomo alla vita divina del Figlio inserendolo stabilmente nella Chiesa e ricolmandolo in abbondanza della grazia dello Spirito Santo” (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai sette ai quattordici anni, Roma, 1999, n. 19).

6CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio e Catechesi per la vita cristiana. Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento di Base, Roma, 2010, n. 14. 

7 CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il primo decennio del 2000, Roma 2001, N. 59.

8 CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. Nota pastorale dell’episcopato italiano, Roma 2004, N. 6

9 Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, Direttorio per la catechesi, Roma 2020 NN. 66-

10 CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, Roma 2014, N. 20

11 CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, Roma 2014, N. 47

12 Consiglio Episcopale Permanente della CEI, Nota Pastorale L’iniziazione cristiana2. Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni, Roma 1999, N.29

13 CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020, Roma 2010, N.38

14 CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, Roma 2014, N. 28

15 CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. Nota pastorale dell’episcopato italiano, Roma 2004, N. 7

16 Ufficio Catechistico Nazionale, La formazione dei catechisti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, Roma 2006 N.9

17 Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale. Orientamenti pastorali per le Chiese particolari, Roma 2022, NN 4 e 24

18 CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. Nota pastorale dell’episcopato italiano, Roma 2004, N. 7

19 Lettera Apostolica in forma di "Motu Proprio" del sommo Pontefice Francesco, "Antiquum Ministerium, Roma 2021, N. 6.

20 CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, Roma 2014, N. 73

21cf Benedetto XVI, Messaggio della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2013

22EvangeliiGaudium, n. 142

23 Guida per i catechisti dell’iniziazione dei ragazzi – Arcidiocesi di Siracusa -Ufficio Catechistico Diocesano, cap. I par V

24 FOI – Forum Oratori Italiani

25 Laboratorio dei Talenti, Nota pastorale sul valore e la missione degli oratori nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo

26 CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, Roma 2014, N. 70

27 «I genitori erano coadiuvati nella loro missione educativa dai padrini, chiamati anch’essi a “istruire i bambini” (Sinodo di Arles, cann. 10 e 19). Il loro impegno viene connesso con il Battesimo. Si ricorda che “genitori e padrini devono educare i bambini nella fede religiosa cattolica, perché quelli li hanno generati e Dio li ha dati a loro, questi perché divennero garanti” (Concilio di Aix le Chapelle, can. 18)». In L’iniziazione cristiana. 2.Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni, 14. 

28 Cfr. A. Nocent, Iniziazione cristiana in Liturgia a cura di D. Sartore – A.M. Triacca – C. Cibien, San Paolo 2001, pag. 975.

29 A. Caprioli, L’evoluzione del catecumenato e l’iniziazione cristiana nel medioevo (secoli VII-XVI) in Iniziazione cristiana e catecumenato. Diventare cristiani per essere battezzati, a cura di G. Cavallotto, EDB Bologna 1996, 152.

30 «L’obbligo di istruire il figlioccio tenuto al battesimo è considerato grave, al punto da ingiungere al padrino che si è fatto nel frattempo monaco di violare la clausura nel caso che il suo figlioccio sia caduto in errore di fede e non vi sia nessuno in grado di intervenire». A. Caprioli, L’evoluzione del catecumenato e l’iniziazione cristiana nel medioevo (secoli VII-XVI) in Iniziazione cristiana e catecumenato. Diventare cristiani per essere battezzati, a cura di G. Cavallotto, EDB Bologna 1996, 160.

31 Cfr. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Decreto. Ordo Baptismi parvulorum, 1969. 

32 Cfr. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Decreto. Ordo Initiationis christianae adultorum, 1972. 

33 RICA e Rito del Battesimo dei bambini, Introduzione generale, 8-10. 

34 È questa la prima volta che i padrini, scelti in precedenza dai catecumeni con il consenso del sacerdote, e, per quanto è possibile, accettati dalla comunità locale, esercitano pubblicamente il loro ministero: sono nominati all’inizio del rito e si presentano con i catecumeni (n. 143), rendono loro testimonianza davanti alla comunità (n. 144), e, secondo l’opportunità, iscrivono anche essi il loro nome (n. 146)”.Rito dell’elezione o dell’iscrizione del nome 136. 

35 RICA, Introduzione, 43. 

36 «L'accompagnamento spirituale dei simpatizzanti e dei catecumeni trova attuazione concreta e continuativa nella presenza del garante e, dopo l'elezione, del padrino e madrina. È loro compito camminare con fraterna amicizia insieme ai nuovi credenti per orientare e sostenere la loro scelta cristiana, rendere loro testimonianza e mostrare la pratica evangelica, soccorrerli nei dubbi e nelle ansietà, prendersi cura della loro crescita spirituale». L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti, 48.

37 Direttorio per la catechesi, 125.

38 L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti, 47.

39 «Se i genitori lo desiderano, accanto al padrino cattolico (o alla madrina cattolica), può essere ammesso come padrino o testimone del Battesimo anche un battezzato, nato ed educato nella fede di Cristo in una comunità separata. Si tengano però presenti per i singoli casi le norme stabilite in materia di ecumenismo». (cfr Direttorio ecumenico, n. 57).

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