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Omelia Indizione del XII Sinodo diocesano

2020-11-28 19:00

Sinodo diocesano

Notizie,

Omelia Indizione del XII Sinodo diocesano

Cefalù, 28 novembre 2020

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 Omelia del Vescovo di Cefalù

S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante

 

Basilica Cattedrale

Cefalù, 28 novembre 2020

 

Carissimi,

saluto con affetto tutti Voi qui convenuti.

Saluto le Autorità civili e militari presenti e quanti ci seguono online.

Permettetemi anche un saluto speciale a Mons. Francesco Casamento, uscito indenne dalla grande prova del COVID-19. Un saluto rivolgo anche a distanza a P. Gioacchino Cusimano, C.S.J., anch'egli vittima del COVID-19., a Don Calogero Falcone, Mons. Cosimo Leone, Don Lorenzo Marzullo e a tutti i sacerdoti che, per l'età avanzata o per motivi di salute, non sono presenti, ma sono ancor più presenti con la loro preghiera. 

 

1. Fate attenzione, vegliate.

 

Attraverso questi imperativi il Vangelo (Mc 13,33-37) c’invita ad aspettare la venuta del padrone di casa e perciò a non addormentarsi nell’attesa.

Si tratta di cogliere il kairόs dentro il chronos.  

Chronos è il quotidiano, il tempo su cui corre l’esistenza, il kairόs è il tempo in cui nella nostra vita fa irruzione il Signore e noi lo riconosciamo presente.

È la postura della sentinella che veglia lottando contro il sonno e soprattutto contro l’intontimento spirituale; la sentinella che tiene gli occhi ben aperti e scruta l’orizzonte per cogliere chi e che cosa sta per giungere.

Vegliare è un esercizio faticoso perché in esso occorre impegnare la mente e il corpo, ma è un esercizio generato e sostenuto da una speranza salda: c’è qualcuno che giunge, qualcuno che è alle porte; colui che, amato, invocato e ardentemente desiderato, sta per venire.

 

2. Guardate con attenzione.

 

Un altro imperativo: significa intensificare la concentrazione, la messa a fuoco, tenere lo sguardo attento; è il contrario della superficialità e della distrazione.

Vigilare è essere lucidi interiormente, avere capacità critica, essere presenti alla storia che si svolge sotto i nostri occhi nel quotidiano. Lo sguardo vigilante diventa perciò profetico perché legge la realtà alla luce della verità immutabile del Vangelo.

Vigilare impegna a diventare perspicaci, svegli nell’intuire ciò che accade.

Acuti nel capire la direzione degli eventi, preparati a cogliere i segnali delle res novae.

«Non abbiamo bisogno di nulla, se non di una mente vigilante» [1] ripeteva l’Abbà Poimen, uno dei Padri del deserto.

Il Cardinale Carlo Maria Martini in una delle sue lettere scriveva:

 

Il vigilare diviene particolarmente attuale in tempi di crisi o di smarrimento, quando cioè la mancanza di prospettive storiche unita a una certa abbondanza di beni materiali rischia di addormentare la coscienza nel godimento egoistico di quanto si possiede, dimenticando la gravità dell'ora e il bisogno di scelte coraggiose e austere [2].

 

La vigilanza è ciò che più occorre principalmente in questo tempo di pandemia.

Una minima disattenzione, la superficialità e l’incoscienza possono scatenare un focolaio pronto a divampare in incendio.

 

3. Maranà tha.

 

È l’invocazione dell’Avvento. Una parola aramaica, la lingua parlata da Gesù.

Un grido sgorgato dal cuore delle prime comunità cristiane che significa “Signore vieni!”. Vuole essere l’anelito del mondo intero perché il Signore venga a visitare e a sanare i popoli che vivono nell’angoscia, nell’amarezza, nella sofferenza e nell’ombra della morte per l’espandersi di questo morbo maligno.

Tutte le preghiere che accompagneranno le liturgie dell’Avvento andranno in questa direzione:

 

Vieni e fa’ risplendere il tuo volto su di noi, o Signore che siedi nei cieli e saremo salvi.

 

Vieni o Signore a visitarci con la tua pace: e la tua presenza ci farà traboccare di gioia.

 

Manifesta la tua potenza e vieni Signore, nei pericoli che ci minacciano a causa dei nostri peccati; la tua protezione ci liberi, il tuo soccorso ci salvi.

 

Così fino al giorno prima del Natale:

 

Affrettati, non tardare, Signore Gesù! La tua venuta dia conforto e speranza a quelli che confidano nel tuo Amore.

 

Queste parole saranno sulla nostra bocca e nel nostro cuore fino a quando il Signore interverrà con la sua mano potente a debellare questo male. Vieni e “Liberaci dal male!”: lo diremo durante la preghiera del Padre Nostro che da questa sera sarà pronunciata nella nuova versione liturgica.

 

Le quattro ore notturne richiamate nella parabola, e che corrispondono alle ore di veglia notturna dei soldati romani: sono le stesse di cui si serve l’Evangelista Marco nel capitolo successivo per narrare il racconto della passione: la sera è il momento dell'ultima cena, con il tradimento di Giuda (cf. Mc 14,18); la mezzanotte è il momento del Getsemani, quando regna l’oscurità e dominano le tenebre e i discepoli sono incapaci di vegliare perché sono stati vinti dal sonno (cf. Mc 14,32); il canto del gallo è il momento del tradimento di Pietro (cf. Mc 14,72); e l’alba è il momento della consegna a Pilato (cf. Mc 15,1) oppure quando la tomba di Gesù si presenta vuota perché Egli è risorto da morte, ma i discepoli restano increduli di fronte all’annuncio pasquale delle donne (cf. Mc 16,1-11).

Sono le ore della Sua venuta, eppure i discepoli, le hanno disertate tutte, non hanno saputo vegliare.

È come se Marco ci avvertisse per non farci trovare impreparati e addormentati quando il Signore verrà e chiamerà i suoi servi a render conto ognuno della propria responsabilità.

Il vescovo (epìskopos) è “colui che è chiamato a vegliare”: vegliare nella notte, vigilare, stare a guardia, sono tutte espressioni che indicano ciò che compete a ciascun discepolo e in particolare a chi è posto come sentinella sulla casa e sulla comunità del Signore.

Sento forte, carissimi amici, e rivolto a me il rimprovero dato da Gesù a Pietro: «Simone, dormi? Non hai avuto la forza di vegliare una sola ora?» (Mc 14,37). Per rispondere a questo rimprovero di Gesù a Pietro, ho voluto fortemente questo Sinodo diocesano. 

 

Il Sinodo vuole essere la risposta concreta all’invito alla vigilanza perché il Signore non ci trovi addormentati, ma operosi nel custodire e trasmettere la fede, nel conservare l’unità, nel vegliare per non permettere al ladro di rubarci la speranza, nel fare attenzione perché a nessuno dei piccoli del Vangelo manchi il pane della carità.

 

Nella mia prima Lettera pastorale La parte migliore che non ci sarà tolta ho sottolineato che l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium è dominata dall’idea di una riforma, di una conversione pastorale, di un cambiamento di tutte le componenti della Chiesa.

La conversione esige un mutamento, la nascita di qualcosa di nuovo nella missione della Chiesa che non sia la prosecuzione di quello che si è fatto. Innanzitutto una svolta nella Chiesa in senso sinodale; una “Chiesa dell’ascolto”. E ponevo le domande: come “ci collochiamo” in questa proposta di cammino di riforma? Ci sentiamo coinvolti o non ne siamo convinti? Siamo disponibili a compiere un cammino di discernimento comunitario dei segni dei tempi per realizzarla?

In questi quasi tre anni di ministero in questa Chiesa ho avuto modo di conoscere - alla luce di Evangelii Gaudium - i contesti, i bisogni e le istanze del Popolo Santo di Dio; necessità tali da farmi considerare come ormai maturi i tempi per vivere un Sinodo diocesano, l’ultimo dei quali è stato celebrato nel lontano 1706 dal mio precedessore Mons. Matteo Muscella.

Il Sinodo diocesano risponde inoltre alla richiesta, più volte avanzata, da questa Chiesa locale tra la fine del XIX e tutto il XX secolo. Purtroppo tutti questi tentativi sono falliti: in particolare nel 1915, il Sinodo indetto e minuziosamente preparato da Mons. Anselmo Evangelista Sansoni (suo il pastorale che utilizzo stasera) fu rimandato per l’imminente pubblicazione del Codice di Diritto Canonico e non più celebrato per lo scoppio della Grande Guerra. 

Sono noti anche i più recenti percorsi verso il Sinodo, nella nuova prospettiva aperta dal Concilio Vaticano II, avviati da Mons. Emanuele Catarinicchia e da Mons. Francesco Sgalambro che usò l’immagine del treno: la Diocesi di Cefalù - ebbe a scrivere - ècome una stazione che aspettava il treno da trecento anni. «Prendere il treno del sinodo o lasciarlo passare?»: fu questo l'interrogativo di una sua lettera. Entrambi i tentativi però non sono giunti a compimento.

 

Vi confesso che l’avvento della pandemia, sulle prime, mi ha scoraggiato nell’intraprendere l’esperienza di un Sinodo diocesano.

Mi sono chiesto: come faremo a celebrarlo in un contesto dove non è possibile l’incontro?

A un certo punto però nella tragedia ho visto affiorare anche il volto del bene. Ho visto affiorare l'avvento del Singore anche in questa tragedia. Difatti sono ritornate le grandi domande sui “fondamentali”, sulla vita e sulla morte, e l’invocazione di una preghiera universale.

Tutti noi abbiamo ancora negli occhi l'immagine del Papa in preghiera in una silenziosa e vuota Piazza San Pietro.

É emerso il legame planetario tra tutti gli esseri umani quando un virus ha abbattuto in un lampo tutti i confini tra i popoli.

Un’efficace lezione di fraternità universale: abbiamo capito che ci si salva insieme.

Se da una parte abbiamo visto svuotarsi le chiese, specialmente durante il lockdown, dall’altra sono emerse la grande risorsa della chiesa domestica, la famiglia, e le potenzialità dei media nella trasmissione della fede.

Ha preso forza il bisogno della vita relazionale, il valore della solidarietà, l’orientamento della scienza a servizio della vita.

Allora mi sono detto: la pandemia è il tempo opportuno per una grande purificazione, partendo da una conversione sinodale per intraprendere sentieri inediti per un rinnovato annuncio della fede.

Nella tragedia il Sinodo si è presentato come un kairόs, un tempo di grazia, in cui lo Spirito mette in cammino un popolo per andare incontro al nuovo che il Signore sta preparando per la Sua Sposa, la Chiesa.

E così, incoraggiato dai miei collaboratori, ho deciso.

 

Affido alla Lettera pastorale Si avvicinò e camminava con loro e alla Lettera di indizione del Sinodo i sentimenti e i contenuti con i quali affrontare questo speciale evento dello Spirito.

Ringrazio P. Salvatore Vacca, O.F.M. Capp. per le “provocazioni” che ieri sera ci ha offerto con la sua relazione introduttiva all’indizione del Sinodo. Un'autentica lectio magistralis.

Confido nel lavoro attento e puntuale della Commissione e della Segreteria sinodale.

Invito tutti ad accogliere con entusiasmo questa chiamata speciale dello Spirito.

Ringrazio anche Mons. Giuseppe Liberto, già direttore della Cappella musicale pontifica Sistina, per aver musicato per la nostra Chiesa alcune parti della nuova liturgia del Messale Romano, specialmente il Padre nostro che canteremo tra poco. 

 

Consegno all’intercessione di Santa Maria Odigitria il cammino dei prossimi anni, e invoco la sua presenza umile e sicura come nel cenacolo della Pentecoste. Dove Lei è presente è assicurata l’azione dello Spirito Santo, l’unità e la concordia, l’entusiasmo e la certezza di camminare nella via del Vangelo segnata dal Figlio Suo, il Signore Gesù Cristo.

Non mi resta che invocare con l'invocazione tipica dell'Avvento: "Maranà tha, Vieni Signore Gesù!".

Lo Spirito e la Sposa dicono: "Vieni Signore Gesù!".

 

Auguro a tutti un buon cammino sinodale!

 

 

✠ Giuseppe Marciante

 Vescovo di Cefalù 

 

 

 

[1] I Padri del deserto, Detti editi e inediti, introduzione e traduzione a cura di S. Chialà e L. Cremaschi, Edizioni Qiqaion, Magnano 2002, p. 224.

[2] Carlo Maria Martini, Sto alla porta, Lettera pastorale sul “Vigilare”, Milano 1992, p.12.

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