Carissimi,
il XII Sinodo della Chiesa di Cefalù dallo scorso 28 novembre ha iniziato il suo iter. Qualche giorno fa ho letto con grande attenzione un articolo apparso il 20 marzo u.s. su Avvenire, a firma di Giacomo Gambassi: “Per l’Italia un Sinodo diffuso. Protagoniste diocesi e parrocchie”.
Mi ha entusiasmato e incoraggiato: subito l’ho legato al nostro Sinodo. Mi ha dato conferma della bellezza del cammino che abbiamo intrapreso e che ci vedrà impegnati per i prossimi tre anni.
Condivido con voi qualche semplice riflessione che ne è scaturita.
Ho pensato alle assemblee pastorali parrocchiali che la scorsa domenica si sono già tenute in diverse parrocchie della nostra Diocesi.
Spero che tutti i parroci riescano a realizzarle quanto prima in ogni comunità e sempre nel rispetto di ogni norma prevista per contrastare la pandemia. Esse sono il segno più eloquente del nostro «non cercare o pensare a un Sinodo come a un grande evento o a un raduno di delegati che presentano risoluzioni o votano proposizioni» (Cei).
Vorrei tanto che esse si configurassero come le colonne portanti, le radici del nostro Sinodo diocesano, ma anche della vita e della crescita di ogni parrocchia.
Le assemblee sono lo specchio che ci permette di guardare il vero volto di ogni Comunità per osservarne i lineamenti, le rughe, il sorriso, le lacrime, ogni possibile ritocco o lifting finanche le paure, le gioie, gli entusiasmi e le agonie.
Le focalizzo come la nostra risposta all’input che Papa Francesco ha dato, incontrando l’Ufficio catechistico nazionale lo scorso 30 Gennaio, a proposito del Sinodo da farsi per tutta la Chiesa italiana.
Il Santo Padre, in quell’udienza, ha chiesto di: «incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi. Un percorso “diffuso”, non accentrato e precostituito che abbia per protagonisti i territori e le multiformi espressioni ecclesiali presenti nel Paese, con una particolare attenzione al laicato».
Mi sembra che le nostre assemblee possibilmente siano già le prime scintille di luce e di grazia dimoranti all’interno di questo percorso “diffuso” che ha iniziato un processo del nostro Sinodo diocesano, un processo che passa e passerà da una comunità all’altra. Da Cefalù a Fasanò; da San Mauro Castelverde a Sclafani Bagni. Comunità per comunità. Per tutte le nostre 53 parrocchie.
Le assemblee vanno intese come il prolungamento delle assemblee eucaristiche. Sono le assemblee eucaristiche che si esprimono nella vita pastorale. Convocano il laicato a un cammino di comunione che si apre alla missione. Sono le vie sinodali da percorrere per sburocratizzare la vita della parrocchia, per superare la logica di quell’evergreen pastorale che ha il suo consolante ritornello in quel “si è sempre fatto così”. Aprono le porte a un sapiente e profetico discernimento comunitario. Quello che non teme il confronto del cammino delle comunità parrocchiali con quel processo inarrestabile di forte scristianizzazione che divampa anche in mezzo a noi. Facciamo purtroppo ancora tanta fatica ad accettarlo, soprattutto nei nostri ambienti ecclesiali. Tra le mura dei nostri oratori, delle nostre sacrestie, delle nostre chiese. È una verità storica che non va drammatizzata. È un fenomeno che va compreso in tutta la sua portata. Dobbiamo provare ad abbracciarlo. Preferiamo guardarlo a distanza, a singhiozzi, e muniti di mascherine come se fosse un virus contagioso.
Siamo abili nell’insabbiare tutti quegli elementi che ce lo additano. Ci mette paura perché ci obbliga a rivedere e, possibilmente anche cancellare, i vari percorsi pastorali ricamati da tradizioni e devozioni che fanno da palinsesto alla vita delle parrocchie. Conosco diverse tradizioni bellissime, tante hanno una loro nobiltà. Bisogna fare in modo che non restino delle pie pratiche confinate in certi periodi dell’anno. C’è il rischio che non potranno mai incidere realmente sulla crescita umana e spirituale delle comunità. Dobbiamo fare in modo che diventino luoghi dell’incontro della gioia del credere.
Le assemblee non permetteranno alle nostre comunità di restare sedute, di continuare a vivere di rendita. Con la pandemia sono scomparsi anche quei momenti che ancora riuscivano a illuderci sull’identità cristiana o pseudo-cristiana delle nostre comunità: le feste patronali con le solenni processioni.
Le assemblee ci aiuteranno a ripensare a quasi tutta quella costellazione di valori che ha accompagnato il discernimento, il riconoscimento e la maturazione dei ministeri e dei carismi dei singoli fedeli. Favoriranno la formazione ecclesiale dei nostri laici che deve precedere quella specifica legata ai ministeri.
Ci aiuteranno a leggere meglio i continui cambiamenti sociali in corso. A guardare in faccia la minuta presenza delle giovani generazioni. Un’assenza dolorosa, ma che spesso ci sfugge di mano. Ci aiuteranno a fare rinascere tanti valori che risultano ormai obsoleti. Anche se da un punto di vista ontologico e fondativo i valori non cambiano, è mutata la loro percezione, la modalità di incarnarli nella quotidianità come cristiani.
Le assemblee siano veri laboratori di analisi e di ricerca di fronte a ogni sfida autenticamente profetica che il Sinodo dovrà definire. Siano i luoghi che abbattono recinti, cespugli e rovi che bloccano l’avvio dei tanto attesi percorsi sinodali che sono chiamati a mettere insieme Vangelo, valori e cambiamento sociale. Siano i luoghi dove ogni battezzato possa incontrarsi come facente parte di una comunità viva. Un dialogo a tre voci. Un incrocio dialettico tra la Parola, la storia e la profezia.
Nella seconda parte dell’articolo di Gambassi è forte l’esortazione a mettere l’ascolto al centro del cammino sinodale per favorire e garantire l’insostituibile primato delle persone sulle strutture e la corresponsabilità. Penso alla vita della fede di ogni Chiesa, della Chiesa di Cefalù, di ogni sua parrocchia. Essa è caratterizzata dalla “convivialità delle differenze”. Siamo di fronte a una potentissima ricchezza. Tutta da scoprire o da riscoprire. Penso alla prima tappa del primo anno del cammino del nostro Sinodo, legata all’ascolto contemplativo. Un invito, rivolto a tutti, a guardare a ogni realtà presente nella nostra Chiesa e sul suo territorio alla luce della Parola di Dio.
Vorrei tanto che i presbiteri si lasciassero circondare dalla presenza di gruppi di laici, di ogni età, di ogni status sociale e culturale. Tutti saldamente uniti dall’amore per la Parola di Dio. Come dei fedeli compagni di viaggio che, a partire dalla Scrittura, sentano forte il bisogno di donare nuova identità al cammino di vita cristiana, alla comunità e alla ministerialità. Tra questi laici ci saranno anche tanti nostri fratelli e sorelle che portano le ferite o le cicatrici dell’esperienza della separazione o del divorzio. Tutti chiamati a stare accanto ai presbiteri ascoltando e meditando insieme la Parola della domenica. Condividendo insieme come popolo santo di Dio, come discepoli di Cristo, come chiamati alla santità quanto la Parola comunica alle loro coscienze, alle loro vite.
Che cosa chiede a ognuno di loro. A ciascuno di noi. Quali le provocazioni, gli stimoli, le esortazioni. Per educarci gradualmente a una sorta di dialogo anch’esso sinodale, fatto a più voci. Un dialogo che dia voce alla Parola di Dio che è per tutti. Da questo dialogo fatto con la Parola spezzata insieme, il presbitero può unire, ogni intervento per partorire l’omelia come un mosaico da donare “coralmente” all’assemblea eucaristica. Più passa il tempo e più mi convinco che lo stile sinodale abbia come madre la Scrittura.
Desidero per la nostra Chiesa di Cefalù un Sinodo che sia per tutti: un Sinodo che non escluda nessuno. Ecco perché ogni nostro movimento sinodale deve partire dalla Parola di Dio. Perché la Parola di Dio non esclude nessuno.
Alla mensa della Parola può accedervi chiunque. Il nostro Dio non è un Dio muto.
Siamo tutti raggiunti dalla Sua paternità attraverso la Sua Parola. Ai piedi della Parola si vive la prima esperienza di un vero cammino sinodale.
Condividerla dà sostegno e conforto. La Parola di Dio non solo unisce, ma ci rende persone libere, capaci di pensare. Ci riveste di Sapienza divina. Se Parola di Dio è la chiave che apre le porte di ogni servizio, tra laici e presbiteri non regneranno mai possibili atteggiamenti di servilismo o devozione reciproca. Non ci saranno forme di rispetto accompagnate dai suoni di note farisaiche.
L’ascolto contemplativo sinodale dei bisogni, delle attese, delle ferite, delle speranze, fatto a partire dalla Parola di Dio, evita possibili forme di scoraggiamento del parroco e dell’intera parrocchia delle quali le omelie sono facilmente la spia. Evita ogni forma di annacquamento nella progettualità. Dobbiamo educare i laici a servire sinodalmente la comunità a partire dalla Parola di Dio. Educarli nell’essere voce che dà voce, insieme al presbitero, alla Parola di Dio spezzata nell’omelia. Un servizio che è dato alla Parola; dalla Parola alla comunità.
L’articolo letto sul quotidiano Avvenire mi ha consegnato, per alcuni aspetti, gli echi di alcune considerazioni dettate all’interno di un ciclo di lezioni radiofoniche dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nel lontano 1969. Ne riporto alcuni frammenti con l’unico intento di spargere nei cuori di tutti dei semi che facciano del nostro Sinodo il campo dove ognuno potrà raccogliere spighe piene di chicchi di profezia:
Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. [...] Dovremo affrontare sconvolgimenti formidabili. Ma sono altrettanto sicuro di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico [...] ma la Chiesa della fede. Potrebbe non essere più la forza socialmente dominante nella misura in cui lo è stata fino a poco tempo fa, ma potrà godere di una fresca fioritura ed essere vista come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte. Una Chiesa più povera, comunità ecclesiali ridotte per numero dei credenti, dove la vita cristiana è vissuta più intensamente e radicalmente. Una Chiesa riportata all’essenziale del cristianesimo e alla sua vocazione di profezia della presenza di Dio nell’umanità [1].
Con queste parole, carissimi, vi esorto a camminare spediti sulla strada di Emmaus, divenuta simbolo del nostro itinerario sinodale specialmente in questo periodo di prova. Maria Santissima Odigitria vegli sul nostro cammino.
Cefalù, dal Palazzo Vescovile, 27 marzo 2021.
✠ Giuseppe Marciante
Vescovo di Cefalù
[1] J. Ratzinger, Lezione radiofonica ai microfoni di “Hessian Rundfunk”, 25 dicembre 1969.